In questi giorni stavo riflettendo su alcuni testi biografici di martiri uccisi per la fede e sulle indicazioni che il nostro Vescovo Roberto sta suggerendo per il cammino da percorrere come diocesi chiedendoci: “quali germogli per le Chiesa di domani?”. E poi mi sono imbattuto in un post sui social, di quelli che tanti mandano e che poi spariscono dopo poco. Tanti non li guardi, alcuni ti fanno riflettere. Questo diceva così: ‘cosa ci insegna l’autunno? Che dobbiamo lasciar andare le cose che non ci nutrono più… Che per voltare pagina bisogna trovare il coraggio di far cadere le foglie secche, a costo di lasciar spoglio e freddo il nostro ramo. Solo così un giorno potranno nascerci nuovi germogli’. Mi ha fatto riflettere su come si sono incrociati messaggi diversi, da parti distanti ma uniti nella stessa metafora dei germogli. E questi mi hanno sempre affascinato, mi sono spesso perso con lo sguardo vedendoli nascere e crescere. Mi hanno sempre insegnato dove si radica la speranza, visto che tornano tutti gli anni. Hanno avuto la capacità di attivare in me più il senso dello stupore che non quello della delusione, della nascita che non quello della morte. E tutto questo mi ritorna a pochi giorni dalla memoria liturgica in cui ricordiamo tutti i Santi e tutti i nostri defunti. Sono questi i germogli che ci insegnano a vivere visto che hanno compreso, come disse Victor Hugo, che ‘la morte non è la notte, ma la luce; non è la fine ma il principio; non è il niente, ma l’eternità’. Ecco perché siamo ricchi! E come cristiani doppiamente ricchi e tranquilli visto che nel Vangelo di Marco (4,26) si dice che un uomo getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa… perché allora preoccuparsi tanto? Piuttosto… cercasi seminatori! Cercasi curatori di germogli!
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